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Aspettati quel che non ti aspetteresti mai!

Nel 1968 Tomi Ungerer viene incaricato di illustrare la campagna della New York State Lottery.

Con il suo tipico sarcasmo, l’illustratore, che aveva lavorato ai suoi primi poster, molto grafici, fino dal 1954, illustra la frase che ritengo possa essere il suo “marchio di fabbrica”: expect the unexpected e naturalmente realizza diverse variazioni sul tema: tutte spassosissime, soprattutto perché, guardando le figure, si immagina già che la scena rappresentata avrà un finale altrettanto sorprendente.

Dai committenti i poster non furono ritenuti abbastanza “seri”, dal momento che lo scopo dichiarato della lotteria era una raccolta fondi per beneficenza. Ne furono utilizzati solo tre con la dicitura The New York Lottery can strike anyone.

Immagino la sua grande risata, mentre mostra i lavori scartati agli amici della rivista The village voice. Ogni lasciato è perso: Tomi avrà le sue immagini pubblicate sulle copertine della rivista, con la frase che aveva scelto: Expect the unexpected.

L’assurdo, il paradosso, il gusto di ogni sfumatura di risata, da quella a garganella a quella grassa e ammiccante, la provocazione del piccolo scandalo, le clowneries, sia da Bianco che da Augusto, creano il suo tratto, i suoi colori, i suoi racconti illustrati, che siano per poster, per satire contro il razzismo e la guerra o per libri rivolti ai bambini. Il linguaggio non cambia: considera i bambini “al suo livello, quanto a umorismo sovversivo”.

Era un “agente provocatore”. La sua soddisfazione di fronte a un lavoro ben riuscito, era espressa con l’esclamazione “Assurdo!”, come racconta l’amico Jack Rennert nel suo The poster art of Tomi Ungerer (Darien House, Inc. New York City, 1971).

 

Anche fotografo e scultore, Ungerer usa i diversi linguaggi con le medesime intenzioni e li padroneggia in modo altrettanto originale.

In questo assomiglia a Saul Steinberg, anche se i segni sono molto diversi e la risata di Steinberg è più contenuta.

Personaggi buffi o drammatici diventano tridimensionali negli oggetti e animali che realizza e che, casualmente ma per fortuna, come se mi avessero chiamata, mi capita di vedere in una mostra a New York,

Se devo credere a un disegno nell’arazzo della vita, è proprio grazie a queste “casualità” speciali.

Anche quegli oggetti, composti di zappe, pezzi di legno, ferri dalle strane forme, nascono dalla sorpresa e dalla risata.

Le sue sono però risate che appoggiano su una grande profondità e su grandi dolori, superati grazie agli affetti, al talento, alla ricerca di libertà, all’enorme curiosità e alla inesauribile voglia di “buttarsi” nelle prove.

Nasce su un confine conteso tra francesi e tedeschi. Ancora piccolissimo, rimane orfano di padre. Cresce in un ambiente nazista che, tra i primi compiti, chiede agli scolari di disegnare un ebreo. La sua terra, l’Alsazia, passa dalla lingua francese a quella tedesca (obbligatoria) e poi ancora a quella francese (obbligatoria dopo la vittoria). Ma a casa ha un formidabile terreno affettivo e di sostegno che gli dà lo spazio di cui ha bisogno. Anche se in quella casa si convive con una bomba inesplosa dovuta al passaggio di un bombardiere.

 

In una delle interviste, tutte da ascoltare, per Radio France, udibili al link https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/a-voix-nue/le-premier-devoir-qu-on-m-a-donne-a-l-ecole-dessiner-un-juif-8421846 sostiene che, se fosse una Musa, la Disperazione le sostituirebbe tutte, perché una grande percentuale di opere creative è dovuta alla Disperazione.

Dunque le sue risate sono dovute al rispetto, alla cura, al riconoscimento della bellezza della molteplicità, alla volontà di smascherare ipocrisie e moralismi e anche alla rabbia che sgorga dall’ingiustizia. Rabbia che spesso sbottava da una persona fondamentalmente dolce, affabile e gentile.

Ungerer è -fino ai suoi 87 anni- il ragazzino che grida: “Il Re è nudo!”.

Francese? Tedesco? Americano? Irlandese? È necessaria una nazionalità per un artista che le trascende e le attraversa tutte? I necrologi si affrettano a precisare ma, per chi lo ha tanto ammirato, la nazionalità è cosa davvero trascurabile.

 

Nel ’67 Emme edizioni acquista i diritti di Tre feroci banditi. Pionieristica come sempre, Rosellina Archinto mette a disposizione del pubblico italiano questo capolavoro insieme a quelli di Sendak e di Leo Lionni.

Nel ’68 a Parigi scopro Emile, pubblicato da Editions Planète. Una conferma. Quando, scorrendo un libro o vedendo un’opera d’arte, qualcosa mi sobbalza dentro, so che sono davanti all’inaspettato. Così ho conosciuto l’arte di Ungerer. La grazia di Jean de Bournhoff accompagnata dalla scelta di spiazzare. Lo immagino, mentre disegna, immaginarsi la/il bambino che trattiene il fiato per poi scoppiare a ridere. In Babar un delizioso perbenismo, In Emile, in Crictor, in Adélaide, tutti per nostra gioia ripubblicati di recente da Lupo Guido, una acuta ironia accompagnata dalla tenerezza. Il trionfo del paradosso, dell’improvviso, dell’imprevisto.

Tra il ’69 e il ’72 feci incetta dei suoi libri pubblicati da Ecole des loisirs: Jean de la lune; Le géant de Zeralda; Le chapeau volant; Guillaume, l’apprenti sorcier… Tutti pubblicati originariamente da Diogenes verlag, la cui lingua purtroppo mi era sconosciuta ma di cui ammiravo molto le copertine e gli illustratori, quando passavo nello stand alla Fiera di Francoforte.

Poi il decollo in Italia, grazie a Bompiani. Da una dedica su L’animale di Monsieur Racine (Diogenes verlag 1972- Bompiani 1972) scopro che Ungerer ha una grande stima per Sendak: fili di seta tra Autori enormi! New York era un meraviglioso brodo di genialità, in quel periodo!

Giovannino la peste e Niente baci per la mamma aprono, in una educazione allora piuttosto stereotipata, visioni libertarie, che i meravigliosi flussi di pensiero sessantottini alimentati dai testi di Mario Lodi, Loris Malaguzzi, Bruno Munari, Gianni Rodari avevano iniziato a coltivare.

Quando si ammira molto una persona, prima o poi la si incontra. Il disegno dell’arazzo cerca di intrecciare i colori. E così mi capitò, di nuovo alla Fiera di Francoforte, di trovarmi davanti Tomi Ungerer in persona, e tra molti balbettamenti emozionati, di presentarmi. La “figura” che feci fu sicuramente scarsa. Nani e giganti inevitabilmente incrociano gli sguardi in modo diverso e io non avevo lavori da mostrare: solo la mia spudorata stima. Ma si mostrò molto divertito e simpatico ai miei sforzi di comunicare quanti suoi libri collezionassi, come li usassi con i bambini e quanto mi piacesse la sua “lettura” della vita e il disegno della sua matita.

Parlo di matita perché, per quanto i colori dei suoi poster e delle sue illustrazione siano formidabili, guardate quelli per Ice capades, spesso valorizzati da un nero profondo, credo che la forza del suo lavoro stia proprio nella capacità di tradurre nel segno la sua visione del mondo, come si può verificare nei raffinatissimi e divertenti schizzi destinati a diventare poster di promozione turistica per la Svizzera.

Anche questi non furono pubblicati: troppo distanti dal gusto svizzero…

Quindi, illustratori, non scoraggiatevi: anche il grande Ungerer ricevette molti no ma non si può arrestare una sorgente tanto ricca di idee.

 

Il suo sguardo tagliente che in modo così forte aveva sottolineato l’ipocrisia della guerra in Vietnam e gli orrori del razzismo, si ammorbidiva, quando creava libri per i bambini. Forse perché l’occasione di creare storie per l’infanzia, come spesso succede, era nata insieme all’esperienza paterna? Forse per la memoria della cura avuta dalla sua famiglia di origine? Forse a causa della sua ammirazione per la forza anarchica dell’infanzia stessa?  Fatto sta che orchi e personaggi ‘dégueulasses’ nelle sue figure per i libri illustrati non mancano, e lì si convoglia spesso il desiderio di giustizia, tutta la vendetta di un cuore gentile con una mano (e una mente) ribelle.­­­

 

Uno degli ultimi libri che ho acquistato è un libro con poche figure e tanta intelligenza: Perché io sono io e non sono te? le risposte alle domande spiazzanti dei bambini. (Feltrinelli 2017; Diogenes verlag 2016; Philosophie 2012-2016; traduzione italiana di Bérénice Capatti)

Certa che subito qualcuno commenterebbe: “che ci piglia un illustratore con la filosofia o con la pedagogia?” affermo invece con forza che Ungerer ci piglia. Fu insignito dall’Università di Karlsruhe della Laurea in Filosofia honoris causa, ‘più honoris che causa’, sostenne. E commentò: “non per questo mi prendo maggiormente sul serio. Al contrario, la mia è una logica dell’Assurdo.”

Basta leggere la risposta alla domanda di Julia, 3 anni: Camminiamo con i piedi, ma con che cosa pensiamo?

Ecco la sua risposta. Piacerà a tutti i fìâneurs e ai caminantes.

Pensiamo e riflettiamo soprattutto con il cervello, che sta nascosto nel cranio. Ma nel corpo umano si pensa un po’ ovunque: lo stomaco pensa al prossimo pasto, sulla punta di ogni dito c’è un piccolo cervello e il cuore batte al ritmo delle emozioni.

Il poeta non potrebbe esprimersi senza i piedi.

E cosa farebbe il cuoco senza i piedi piatti?

E il marinaio senza i piedi marini?

Senza i piedi, come si potrebbe partire con il piede giusto o andarci con i piedi di piombo?

Tutto questo per dirvi che ogni piede serve, certo, a camminare ma anche a molto altro. Ovviamente ci sono Piedi più intelligenti di altri. I miei in ogni caso adorano calpestare le erbacce.

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